Prologo

Con la dovuta sacralità e nel più completo rispetto, qusto articolo sulla storia di S.Agata patrona di Catania, vuol’essere un semplice atto di devota gratitudine nel confronti della santa vergine e martire patrona della nostra città.

Le informazioni raccolte e quì brevemente riassunte vogliono solo essere un invito ad approfondire nelle appropriate sedi, il culto della santa vergine e martire.

Questo articolo ha finalità divulgative e filantropiche, senza in alcun modo voler essere un documento ufficiale che possa essere ritenuto offensivo e/o irrispettoso nei confronti di persone o situazioni che coinvolgano o hanno coinvolto in passato fatti estremamente personali che riguardano la moralità e l’integrità dell’assoluto senso di voto o di devozione dei fedeli nei confronti della santa,vergine e martire Agata.

[N.d.R.]

La storia di S.Agata patrona di Catania

Sant’Agata nasce – secondo fonti discordi sulla datazione e circa l’età – a San Giovanni Galermo, l’8 settembre del 229 o del 235.  S.Agata è stata, secondo la tradizione cattolica, una giovane vissuta nel III secolo, durante il proconsolato di Quinziano.

S.Agata viene venerata come santa, vergine e martire sia dalla Chiesa cattolica che dalla Chiesa ortodossa. Agata muore nella sua cella dopo immani torture il 5 febbraio  del 251 d.c. ed il suo nome compare da tempi antichissimi nel Martirologio  che in origine era intesa come la narrazione di notizie relative ai martiri cristiani dei primi secoli dell’era corrente. Molto tempo più tardi le Chiese ebbero la necessità di registrare date ed eventi significativi relativi ai martiri in un calendario, che avrebbero assunto il rango di vero e proprio libro liturgico.

Il memoriale di S.Agata ricade annualmente il 5 febbraio di ogni anno. La festa in suo onore viene organizzata nella città di Catania ed è la terza festa religiosa più importante al mondo. Dopo la Vergine Maria, è una delle sette vergini e martiri ricordate nel canone della Messa. Oltre ad essere la patrona della città di Catania, S.Agata è anche patrona di Gallipoli, della Diocesi di Nardò-Gallipoli, della Repubblica di San Marino e della città di Malta.

Agata fu messa a morte durante la persecuzione di Gaio Messio Quinto Traiano Decio che fu imperatore romano dal 249 al 251 a Catania. Nel periodo fra la fine del 250 e l’inizio del 251 il proconsole Quinziano, giunse nella sede di Catania anche con l’intento di far rispettare l’editto dell’imperatore, che chiedeva a tutti i cristiani di abiurare pubblicamente la loro fede, mettendo in atto una feroce persecuzione.

La tradizione riferisce che Agata fuggì con la famiglia a Palermo, alla Guilla, ma Quinziano li scovò e li fece tornare a Catania. Il punto che la giovane catanese attraversò per uscire da Palermo e tornare alla sua patria, oggi è detto Porta Sant’Agata.

Quinziano s’invaghì della giovinetta nel vederla di presenza e saputo della consacrazione, per non avere mai tradito la professione della sua fede, le ordinò – senza successo – di ripudiare la sua fede e adorare gli dèi pagani.

Si può ipotizzare, coesistente a ciò, anche un quadro più complesso: ovvero, dietro la condanna di Agata, la più esposta nella sua benestante famiglia, poteva esserci l’intento della confisca di tutti i loro beni. Di certo, era un contesto storico estremamente drammatico per i cristiani.

Sant'Agata, da un dipinto di Guido Cagnacci

Papa Fabiano era stato ucciso più di un anno prima e la sede apostolica era vacante, mentre il suo successore – Cornelio – sarebbe stato eletto ben 14 mesi dopo il martirio di Agata.

Al rifiuto deciso di Agata, il proconsole Quinziano l’affidò un certo tempo alla custodia rieducativa della cortigiana Afrodisia e delle sue figlie, persone molto corrotte e dalla dubbia condotta morale.

L’affidamento era finalizzato alla corruzione morale di Agata, attraverso una continua pressione psicologica, con allettamenti e minacce, per sottometterla alle voglie di Quinziano, tentando di trascinare la giovane catanese nei ritrovi dionisiaci.

Agata uscì da quella lotta vittoriosa più forte e determinata di prima, tanto da scoraggiare le stesse tentatrici e tutrici. Capita l’impossibilità di far cadere Agata in tentazione, rinunciarono all’impegno assunto, riconsegnandola a Quinziano.

Dopo gli inutili tentativi di corromperne i princípi morali e cristiani, Quinziano diede avvio al processo, convocando Agata al palazzo pretorio. I dialoghi tra il proconsole e la santa, vengono riportati dai memoriali, da cui si evince senza dubbio come Agata fosse erudita in dialettica e retorica.

Dal processo, al carcere e alle violenze il passo fu breve e scontato, con l’intento di estorcere una confessione di spergiuro nei confronti della religione cattolica  abbracciata dalla giovane Agata.

La tadizione narra che nella notte dopo il supplizio, venne visitata da San Pietro, che la rassicurò portandole conforto e ne risanò miracolosamente le ferite ai seni mutilati. Come ultimo atto, Agata venne sottoposta al supplizio dei carboni ardenti.

La notte seguente all’ultima violenza, il 5 febbraio 251, Agata spirò nella sua cella.

Il Martirio di Santa Agata • Gianbattista Tiepolo.

«Non valser spine e triboli,

non valsero catene;

né il minacciar d’un Preside

a trarla dal suo Bene,

a cui dall’età eterna

fu sacro il vergin fior»

Ode, per il 5 febbraio • Mario Rapisardi, 1859

Secondo gli atti del martirio, Agata nacque in una ricca e nobile famiglia catanese. La località di nascita è stata in passato messa in discussione: si pensa che sia nata a Palermo o, più probabilmente, a Galermo nei dintorni a nord di Catania. I sostenitori delle origini palermitane o del suo temporaneo soggiorno nella città, ossia del quartiere di Agata alla Guilla, citano gli Acta SS. Februarii. [Anversa 1658 o la Bibliotheca Sanctorum • Roma 1961]

In merito ai natali palermitani – tradizione piuttosto tarda – vi è chi ritiene che questa si fondi sull’errata traduzione di Galermus in Palermus, di fonti latine nel primo caso e greche nel secondo.La tradizione si riferisce al fatto che effettivamente la giovane Agata avrebbe soggiornato a Palermo prima di tornare a Catania per essere giudicata. Va però ricordato quanto entrambi i toponimi siano successivi al martirio di Sant’Agata, nello specifico risalgono alla dominazione saracena.

I documenti che narrano il martirio di Agata in realtà tacciono sui natali della Santa e queste citazioni restano dunque infondate. Tuttavia i documenti indicano in tre punti i sostanziali indizi sulla natività e origini catanesi.

Il primo punto è quello relativo all’inizio del processo, secondo il testo fornito dalla redazione latina. Tale redazione rivela nel vers. 1 che Agata fu martirizzata a Catania; nel vers. 24 la stessa redazione latina riferisce che Quinziano interroga Agata chiedendole di che condizione fosse, e nel vers. 25 riferisce che Agata rispose a Quinziano dicendo: “Io non solo sono libera di nascita, ma provengo anche da nobile famiglia, come lo attesta tutta la mia parentela“: in questa rivelazione Agata dichiara che anche tutta la sua parentela era presente e residente a Catania, oltre a esservi residente lei stessa e a essere nativa proprio di lì.

Il secondo punto è quello relativo all’apparizione dell’Angelo che, nel momento in cui il corpo esanime di sant’Agata viene sepolto, depone dentro il sepolcro una lapide di marmo in cui era scolpito che Agata era “anima santa, onore di Dio e liberazione della sua Patria“.

A dimostrazione di quanto espresso in quella lapide e cioè che Agata era la liberazione della sua Patria, Dio, a un anno appena dalla sua morte, arrestò la lava dell’Etna, che stava invadendo Catania.

Il terzo punto è quello relativo al fatto che il testo della redazione greca, riportato nel manoscritto del Senato di Messina, espressamente recita che “Catania è la patria della magnanima S. Agata“: tale testo è di assoluto valore storico perché risale all’epoca in cui a Catania ancora non era stato eretto alcun tempio ad Agata.

Infine, va ricordato che al tesoro di Sant’Agata apparterrebbe anche un diploma di Papa Urbano II che decreta i natali catanesi della santa.

Il Velo ed i miracoli di S.Agata

Il Velo

Il velo

Il velo di Sant’Agata è una reliquia conservata nella Cattedrale di Catania in uno scrigno d’argento insieme ad altre reliquie della giovane. Secondo una leggenda è un velo usato da una donna per coprire la Santa durante il martirio con i carboni ardenti. Nei fatti il cosiddetto “velo” di colore rosso faceva parte del vestimento con cui Agata si presentò al giudizio, essendo questo, indossato su una tunica bianca, l’abito delle diaconesse consacrate a Dio. Secondo un’altra leggenda il velo era bianco e diventò rosso al contatto col fuoco della brace.

Nel corso dei secoli, venne più volte portato in processione come estremo rimedio per fermare la lava dell’Etna.

Curiosità

Le Oivette

Confezionate con pasta di mandorle colorata di verde e modellate a forma di olive, sono il tipico antichissimo dolce che si prepara in occasione delle annuali feste della patrona (febbraio e mezz’agosto). Si ricollegano alla leggenda popolare dell’oleastro (olivo selvatico). Mentre la conducevano davanti a Quinziano per essere processata, la vergine Agata si chinò per allacciarsi un calzare. In quel luogo sbocciò come per sortilegio un oleastro i cui frutti, dopo il martirio e la morte della fanciulla, furono raccolti dai concittadini e conservati come reliquie o dati come miracoloso farmaco agli ammalati. A ricordo di questa leggenda nel 1926, nell’XIII centenario della traslazione delle reliquie di Sant’Agata da Costantinopoli a Catania, nella piazzetta del santo carcere fu posto un ulivo.

Il Velo di S.Agata

I miracoli

Molti sono i miracoli attribuiti a sant’Agata nel corso dei secoli:

  • Appena un anno dopo la sua morte, nel 252, Catania venne colpita da una grave eruzione dell’Etna. L’eruzione ebbe inizio il giorno 1º febbraio e aveva già distrutto alcuni villaggi alla periferia di Catania. Il popolo andò in cattedrale e, preso il velo di Sant’Agata, lo portò in processione nei pressi della colata. Questa, secondo la tradizione, si arrestò dopo breve tempo. Era il giorno 5 febbraio, la data del martirio della vergine catanese.
  • Santa Lucia, di Siracusa, quasi coetanea di Agata, andò con la madre gravemente ammalata a pregare sulla tomba di Agata per implorarne la guarigione. Narra la leggenda che Lucia, mentre pregava, ebbe una visione nella quale Sant’Agata le disse «perché sei venuta qui quando ciò che mi chiedi puoi farlo anche tu? Così come Catania è protetta da me, la tua Siracusa lo sarà da te.» La madre di Lucia guarì, e la giovane dopo poco venne martirizzata.
  • Nel 1169 Catania fu scossa da un disastroso terremoto nel giorno 4 febbraio alle ore 21 quando molti cittadini catanesi erano radunati nella cattedrale per pregare in onore della Santa. Nel crollo della cattedrale morirono il vescovo Giovanni Aiello e 44 monaci, oltre a un numero imprecisato di fedeli. Nei giorni seguenti altre scosse di terremoto e maremoto imperversarono sulla città. La tradizione vuole che il terremoto sia cessato soltanto quando i cittadini presero il velo della Santa e lo portarono in processione.
  • Secondo le leggende più di quindici volte, dal 252 al 1886, Catania è stata salvata dalla distruzione da parte della lava, ed è poi stata preservata nel 535 dagli Ostrogoti, nel 1231 dall’ira di Federico Il, e nel 1575 e nel 1743 dalla peste.

La liberazione dall’eccidio

Il 25 luglio 1127 i Mori presero d’assedio le coste siciliane. Dove approdavano erano stragi, massacri e rapine. Quando stavano per assalire la costa catanese, gli abitanti della città ricorsero all’intercessione di Sant’Agata e, secondo la leggenda, la grazia non tardò: Catania fu risparmiata da quel flagello.

Nel 1231 Federico II di Svevia era giunto in Sicilia per assoggettarla. Molte città si ammutinarono e Catania fu tra queste. Federico II furente ne ordinò la distruzione, ma i catanesi ottennero che, prima dell’esecuzione di quello sterminio, in cattedrale venisse celebrata l’ultima messa, alla quale presenziò lo stesso Federico II. Fu durante quella funzione che il re svevo, sulle pagine del suo breviario, lesse una frase, comparsa miracolosamente, che gli suonò come un pericoloso avvertimento: Noli offendere Patriam Agathae quia ultrix iniuriarum est[27].

Immediatamente abbandonò il progetto di distruzione, revocò l’editto e si accontentò soltanto che il popolo passasse sotto due spade incrociate, pendenti da un arco eretto in mezzo alla città. A Federico bastò un atto di sottomissione e lasciò incolumi i cittadini e Catania, salvata per l’intercessione della Madonna delle Grazie e di Sant’Agata.

La città ricorda questo evento con un bassorilievo di marmo che si trova oggi all’ingresso del Palazzo comunale e raffigura Agata, seduta su un trono come una vera regina, che calpesta il volto barbuto di Federico II di Svevia.[senza fonte]

La lava e i terremoti

Nel 1169 un terremoto fece da preludio a una tremenda eruzione. Un fiume di lava, scorrendo per i pendii dell’Etna e allargandosi per le campagne, distruggeva ogni cosa al suo passare e avanzava inarrestabile verso la città. Ma, come era avvenuto un anno dopo la morte di Sant’Agata, una processione col sacro velo bloccò il fiume di lava. Miracoli simili i catanesi li ottennero anche nel 1329, nel 1381, nel 1408, nel 1444, nel 1536, nel 1567 e nel 1635.

Ma l’eruzione più disastrosa avvenne nel 1669: una serie di bocche si aprirono lungo i fianchi del vulcano, che eruttò lava e lapilli per sessantotto giorni. La lava distrusse molti centri abitati e giunse fino in città, circondando il fossato del Castello Ursino. Nella sacrestia della cattedrale un affresco, realizzato dieci anni dopo l’eruzione da chi aveva vissuto in prima persona quei tragici momenti, descrive le scene quasi apocalittiche di quella distruzione.

Quando il magma era giunto a una distanza di trecento metri dal duomo, miracolosamente scansò i luoghi in cui Sant’Agata era stata imprigionata, aveva subito il martirio e dove poi era stata sepolta, per andare a scaricarsi in mare e proseguire per più di tre chilometri. Sembrò chiara la volontà della Santa catanese di salvare i luoghi che appartenevano alla sua storia e al suo culto. A quella terribile eruzione è legato anche un altro evento prodigioso: un affresco, che raffigurava Sant’Agata in carcere, e che si trovava in un’edicola fuori le mura della città, fu trasportato intatto dal fiume di lava per centinaia di metri. Ora quel dipinto si trova sull’altare maggiore della chiesa di Sant’Agata alle Sciare, a Catania. Dono di ringraziamento per aver salvato la città dalla distruzione è la grande lampada votiva d’argento che si trova al centro della cappella di Sant’Agata nella cattedrale e che Carlo II di Spagna volle offrire alla patrona della città.

Nel 1693 un violento terremoto fece tremare Catania. Ci furono diciottomila morti. Nessuno dei novemila superstiti dopo la catastrofe voleva più ritornare in città. Catania sarebbe diventata una città fantasma se un delegato del Vescovo, in processione con le reliquie di Sant’Agata, non avesse supplicato il popolo a rimanere e a ricostruire la città.

Nel 1886 una bocca eruttiva si era aperta a Nicolosi, un centro abitato alle pendici dell’Etna. Il beato cardinale Dusmet, il 24 maggio, portò in processione il velo di Sant’Agata e, benché la processione si fosse fermata in un tratto in discesa, il magma lavico si arrestò immediatamente. In quel punto, in memoria dello straordinario miracolo, sorge ora un piccolo altare.

La peste

In più occasioni a Sant’Agata è stata riconosciuto un intervento sulla città anche a protezione dalle epidemie.[28] Nel 1576, quando la peste cominciò a diffondersi poco lontano da Catania, il senato pensò di ricorrere all’intercessione della patrona. Le reliquie furono portate in processione lungo le vie della città e, una volta giunte accanto agli ospedali dove erano ricoverati gli appestati, essi guarirono e nessuno fu più contagiato.

Nel 1743 una seconda ondata di peste stava per diffondersi da Messina anche a Catania. Le reliquie furono portate in processione e la peste cessò. In ricordo di questo prodigio, fu eretta nell’attuale piazza dei Martiri, una colonna romana (proveniente dal Teatro romano) sormontata da una effigie di Sant’Agata che schiaccia la testa di un mostro, simbolo della peste.

Eruzione dell'Etna 1852 • Giuseppe Sciuti

Le Origini della festa

Memoria di sant’Agata, vergine e martire, che a Catania, ancora fanciulla, nell’imperversare della persecuzione conservò nel martirio illibato il corpo e integra la fede, offrendo la sua testimonianza per Cristo Signore.

(Martirologio Romano)

Le origini della venerazione di sant’Agata si fanno risalire all’anno seguente il martirio, ovvero al 252. Il popolo nutrì subito una grande devozione per la vergine Agata che si era votata al martirio pur di difendere il suo onore e per non abiurare alla sua fede. I catanesi furono orgogliosi di questa giovane che si rivoltò contro il volere del proconsole romano. In questo si dovette innestare l’odio per l’oppressore straniero.

Reliquiario di Sant'Agata

Per quanto attiene la festa vera e propria, è molto difficile stabilire quale fu l’anno d’inizio delle celebrazioni. Secondo alcune testimonianze, ancora prima della nascita di Agata veniva celebrata una festa pagana durante la quale un simulacro di una vergine veniva portato in processione per le vie della città.

Un’altra tradizione viene riportata da Apuleio ne Le metamorfosi, secondo la quale la festa della dea Iside nella città greca di Corinto avrebbe molti punti di contatto con la festa catanese. In particolare il popolo, vestito di una tunica bianca, che partecipava ai festeggiamenti viene accostato al saccu, la tunica di cotone bianco indossata in processione dai devoti, che tirano i cordoni del fercolo per trainarlo lungo il percorso.

Sicuramente i primi festeggiamenti a sant’Agata, anche se non programmati, avvennero spontaneamente il 17 agosto 1126 quando le spoglie della Santa catanese, trafugate nel 1040, furono riportate in patria da due soldati, Gilberto e Goselino, dalla città di Costantinopoli. Il vescovo di Catania, Maurizio, si recò al Castello di Jaci per accoglierle. Sparsa la voce, nel corso della notte i cittadini si riversarono nelle strade della città per ringraziare Dio di aver fatto tornare, dopo 86 anni, le spoglie dell’amata martire Agata.

I festeggiamenti erano per lo più di natura liturgica e si svolgevano all’interno della cattedrale. Ciò sarebbe dimostrato in maniera indiretta da quanto avvenne il 4 febbraio 1169, quando un tremendo terremoto rase al suolo la città di Catania seppellendo sotto le macerie il popolo di fedeli che si trovava all’interno della cattedrale, in preghiera, per la celebrazione del martirio di sant’Agata. In quell’occasione, secondo alcune cronache dell’epoca, perirono oltre 80 monaci e alcune migliaia di fedeli sotto le volte del tempio crollato.

Soltanto nel 1376, anno di costruzione della vara (fercolo), in legno, si presume che siano iniziati i festeggiamenti con la processione per le vie della città. Dal 1209 al 1375 avvenivano processioni con il velo della santa. Il fercolo attuale, tutto in argento su di un telaio in legno, fu ricostruito nel 1946 dopo che nel corso di un intenso bombardamento da parte dell’aviazione britannica, avvenuto il 17 aprile del 1943, era stato seriamente danneggiato quello preesistente, inaugurato nel 1519.

Alla festa puramente religiosa si affiancò una festa più popolare, voluta dal Senato della città e anche dalla popolazione. A questo punto, per evitare problemi di ordine pubblico, venne creato un regolamento al quale dovevano attenersi gli organizzatori dei festeggiamenti. Pertanto, in abbinamento alla processione della vara per le vie cittadine, si inserirono spettacoli di natura diversa per intrattenere i fedeli che arrivavano da ogni parte della Sicilia.

Fino al 1692 la festa si svolgeva in un giorno solo, il 4 febbraio. Dal 1712 la festa assunse un’importanza maggiore venendo strutturata su due giornate di festeggiamenti, il 4 e 5 febbraio, forse anche per il fatto che dopo un altro tremendo terremoto, nel 1693, che rase al suolo tutta la città, Catania venne ricostruita attuando una pianta ortogonale che rese la viabilità più facile con strade più larghe e ordinate; ma soprattutto la città si era espansa, e il giro dei quartieri cittadini non poteva più essere effettuato in un solo giorno. Verosimilmente la festa dovette subire delle interruzioni negli anni successivi a due eventi drammatici che distrussero la città:

  • Nel 1669, in sèguito a una eruzione catastrofica dell’Etna che ricoprì di lava gran parte della città rendendo impraticabile oltre il 50% della viabilità cittadina;
  • Nel 1693, come già detto, per un terremoto di enorme magnitudo che sconvolse il Val di Noto distruggendo completamente la città

La Festa di Sant’Agata

Dal 3 al 5 febbraio, Catania dedica alla Santa una grande festa, misto di fede e folklore. Secondo la tradizione, alla notizia del rientro delle reliquie della Santa nel 1126, il vescovo uscì in processione per la città a piedi scalzi con le vesti da notte, seguito dal clero, dai nobili e dal popolo. Controversa è l’origine del tradizionale abito che i devoti indossano nei giorni dei festeggiamenti, il Sacco agatino: camici e guanti bianchi con in testa una papalina nera. Una radicata leggenda popolare vuole siano legati al fatto che i cittadini catanesi, svegliati in piena notte dal suono delle campane al rientro delle reliquie in città, si riversarono nelle strade in camicia da notte; la leggenda risulta essere priva di fondamento poiché l’uso della camicia da notte risale al XIV secolo mentre la traslazione delle reliquie avvenne nel XII. Il Ciaceri, insigne studioso dei culti e del folclore di Sicilia, afferma che l’abito bianco sia una eredità del precedente culto della dea Iside, come la barca – oggi non più in uso – che anticipava il simulacro della dea.

La tradizione storica più affermata (?) indica che l’abito votivo altro non è che un saio penitenziale o cilicio o tunica, in ogni caso bianco per indicare la purezza, indossato dai catanesi il 17 agosto quando i due soldati, il francese Gilberto e il calabrese Goselmo, riportarono le reliquie a Catania da Costantinopoli.

Altri elementi caratteristici della festa sono il fercolo d’argento dove vengono poste le reliquie della Santa posto a sua volta su un carro o Vara, anche questo in argento. Nella processione di giorno 4 esso è adornato con garofani rosa (simboli del sangue e dunque del martirio subito dalla santa), mentre in quella di giorno 5 è addobbato con garofani bianchi (simboli di purezza, castità e di fede al Signore). Legati al veicolo due cordoni di oltre 100 metri cui si aggrappano centinaia di “Devoti” (con il Sacco agatino ossia la suddetta tunica bianca stretta da un cordone, cuffia o papalina nera, fazzoletto e guanti bianchi) che fino al 6 febbraio tirano instancabilmente il carro. La Vara viene portata in processione preceduta dalle dodici candelore o cannalori appartenenti ciascuna alle corporazioni degli artigiani cittadini. Tutto avviene fra ali di folla che agita bianchi fazzoletti e grida Cittadini, cittadini, semu tutti devoti tutti. È considerata tra le tre principali feste cattoliche a livello mondiale per affluenza. Nel XIV secolo Sant’Agata è stata eletta compatrona della città di Pistoia, in quanto il 5 febbraio 1312 venne firmata la pace tra i pistoiesi e i fiorentini. La reliquia di Sant’Agata vergine e martire, venerata in Cattedrale, fu donata dal Cardinale Antonio Pucci, già vescovo di Pistoia.

Patronati

Sant’Agata è la patrona per:

  • Tutti i martiri, donne vittime di violenza sessuale, vittime di tortura, gli uomini di legge non sposati
  • Donne con il tumore al seno, badanti
  • Contro il fuoco, terremoti, disastri naturali, eruzioni vulcaniche, le eruzioni del vulcano Etna
  • Gioiellieri, panettieri e fonditori di campane.
  • Spagna, Sicilia, Malta, San Marino.

Il suo culto è strettamente legato alla Preghiera a San Michele Arcangelo.